#11 TIME WORKS
In memoria di Vitaliano Trevisan
Uno dei brani che compongono “Tristissimi giardini” di Vitaliano Trevisan s’intitola “Time Works”, è una lunga riflessione sul tempo: tempo e lavoro, tempo applicato allo spazio e alla geografia, tempo e memoria e infine tempo circolare della vita.
Per sua scelta Trevisan non c’è più, a spezzare l’inappellabile linearità del tempo rimangono però i suoi libri, Works su tutti.
In aprile Vitaliano era stato ospite di PDR, qui la puntata.
Qui di seguito un mio ricordo uscito oggi, 12 gennaio, su Domani:
Ricordo di aver visto per la prima volta Vitaliano Trevisan nel 2002, in una trasmissione televisiva di Serena Dandini. Alto, vestito di nero, sembrava mettere a disagio la conduttrice con la sua sola presenza e per il fatto che dava l’impressione di pesare le parole: pensava prima di parlare, una cosa che in televisione di norma non accade e quando accade spezza immediatamente il tono superficiale tipico di quel mezzo di comunicazione. Si crea un effetto piuttosto curioso; appena qualcuno sembra davvero pensare a quello che dice e poi dire quello che davvero pensa, l’automatismo dei ruoli e della lingua si interrompe: non c’è più lo scrittore che interpreta il personaggio dello scrittore secondo le aspettative degli autori televisivi, del pubblico e più in generale delle convenzioni del momento, bensì un essere umano, in questo caso un artista, che dice quello che ha in mente. Anche se sembra la cosa più semplice del mondo, non è proprio così: ad esempio se si fa solo finta di sembrare pensierosi, cosa molto più frequente, si rimane in pieno nella caricatura e l’effetto è ancora più grottesco. Nei filmati di vecchie interviste a scrittori, registi e artisti, questi momenti di verità sono ancora piuttosto comuni, a partire dagli anni 80 diventano sempre più rari e oggi non accadono praticamente più. La comunicazione ha vinto sulla parola e la comunicazione è teatrino efficiente, non ha nulla a che vedere con la realtà delle cose, né con la sincerità: serve a vendere libri, profumi, cucine o automobili, serve a spostare voti, agitare, mobilitare, sensibilizzare, tranquillizzare, manipolare. Il destinatario della comunicazione è sempre il mezzo, mai il fine; la comunicazione è parola strumentale.
Purtroppo il filmato dell’intervista a Trevisan non si trova in streaming ma nonostante siano passati vent’anni ne conservo nella memoria alcuni passaggi proprio perché già allora mi colpì come anomala. La Dandini insisteva sul fatto che quello accanto a lei fosse uno scrittore pubblicato da un’importante casa editrice ma aveva fatto anche tanti altri lavori, compreso il lattoniere e il muratore. Venne detto che ormai a fare quest’ultimo lavoro erano soprattutto immigrati e che i capicantiere per primi si stupivano quando Trevisan si proponeva e si scopriva che non solo era italiano, ma proprio veneto (non meridionale, insomma). Io allora leggevo soprattutto letteratura americana e forse per questo quell’estrazione sociale non mi sembra un fatto così rilevante come pareva invece essere agli occhi della presentatrice. Il personaggio però era interessante, s’intuiva come fosse a suo modo colto e si avvertiva in lui anche un’intensità non comune, comprai perciò “I quindicimila passi”. Non avevo mai letto nulla del genere prima – non conoscevo Thomas Bernhard, ovvero una delle due grandi ispirazioni di Trevisan, assieme a Samuel Beckett. Il libro mi sembrò, ancora una volta, anomalo, a tratti claustrofobico, e bello.
Parlare di Trevisan porta inevitabilmente con sé un rischio, quello di sminuirlo come autore sottolineandone troppo le origini, dipingendolo, cioè, come qualcuno che è emerso nonostante condizioni di partenza svantaggiate rispetto a quelle della grande maggioranza degli scrittori italiani e che quindi merita una certa indulgenza. Non è da escludere che il primo momento di vera notorietà della sua carriera, destinato poi a rimanere il principale, sia avvenuto anche in virtù del bonario interesse che vent’anni fa il mondo della cultura di sinistra provava ancora nei confronti dei lavoratori. Tuttavia va subito sgombrato il campo: Trevisan è stato un grande scrittore, uno dei migliori autori italiani degli ultimi decenni. Punto. CONTINUA A LEGGERE SU DOMANI
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ANNIENTARE
In questi giorni è uscito il nuovo libro di Michel Houllebecq, l’ho letto in anteprima per Il Foglio.
MICHEL HOUELLEBECQ: DECADENZA E SALVEZZA IN “ANNIENTARE”
da Il Foglio del 06.01.22.
Come si scrive un romanzo sulla decadenza di una civiltà? Il compito non è agevole ma in tutta la sua carriera di scrittore Michel Houellebecq non ha mai temuto i grandi temi e il suo nuovo Annientare, in libreria dal 7 gennaio per la Nave di Teseo, non fa eccezione. Il romanzo si svolge fra il 2026 e il 2027, Paul, il protagonista, è il consigliere e confidente personale di Bruno Juge, il ministro dell’economia che ha risollevato l’economia della Francia. Bruno è una persona per molti versi encomiabile: lavoratore instancabile, moralmente integro, nazionalista senza eccessi, è l’immagine Houellebecquiana del politico ideale. Ciò non toglie che finisca ghigliottinato, seppur solo virtualmente, in un misterioso video realizzato con capacità tecniche molto più avanzate rispetto a quelle delle migliori aziende di computer grafica ed effetti speciali. È solo il primo di una serie di atti terroristici, prima solo simbolici e poi anche violenti. L’identità degli autori è misteriosa ma sembra probabile che siano ispirati da un mix di luddismo filosofico à la Unabomber e di esoterismo satanista. Houellebecq ha detto in più occasioni che politicamente le persone “tendono a pensare ciò che disturba meno il loro gruppo sociale” e il Paul di Annientare si comporta di conseguenza. Vota per l’amministrazione per cui lavora, seppur senza grosso entusiasmo e senza stimare il presidente che al contrario del suo ministro gli sembra una persona intelligente e talentuosa ma totalmente definita dal suo cinismo. Il meccanismo di predeterminazione funziona per tutti, anche per lo stesso ministro, tanto che quando Bruno sostiene che sarebbe un peccato per la Francia se venisse eletto il Rassemblement national Paul si chiede “Da dove gli veniva quella convinzione? Da un ragionamento basato su una certa forma di razionalità economica? Da una morale antirazzista, umanista, che aveva ricevuto in retaggio? O più semplicemente dalle sue origini borghesi? Tutte quelle spiegazioni del resto potevano coincidere”. Quando diventa chiaro che l’obbiettivo degli attentati sono i leader delle più importanti aziende tecnologiche del mondo, l’indifferenza ideologica di Paul non gli impedisce tuttavia di pensare che “se l’obiettivo dei terroristi era quello di annientare il mondo come lui lo conosceva, di annientare il mondo moderno, non poteva dargli affatto torto”.Ma in cosa consiste il mondo moderno e che cos’è la decadenza? CONTINUA A LEGGERE SUL MIO SITO
Per oggi questo è quanto.
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