#30 Tre mesi della vita di Houellebecq, il primo PDR LIVE festival, l'attualità dell'Odio
e perchè il biodinamico non è una grande idea, anzi.
Ciao a tutti
Moltissime novità in questo numero della newsletter. In fondo trovate la recensione del nuovo libro di Michel Houellebecq “Qualche mese della mia vita” ma prima una grande notizia:
RocAntica, il primo PDR LIVE FESTIVAL
Il 27-28-29 Luglio si terrà RocAntica, il primo PDR LIVE FESTIVAL!
Dove?
Nel Salento e più precisamente qui: nell’area Archeologica di Roca Vecchia (Melendugno), questa:
Il 27 luglio incontrerò Rocca Tanica degli Elio e le storie Tese per una puntata live di PDR con il pubblico.
il 28 luglio ospite del podcast sarà il mitico Mandrake
Il 29 luglio farò un reading de “Il fuoco invisibile” accompagnato da Gabriele Rampino e dai suoi musicisti, questa serata non diventerà una puntata del podcast, sarà uno spettacolo che vivrà quella notte, per chi sarà con noi in quel contesto splendido.
La rassegna è realizzata in collaborazione con il Comune di Melendugno.
I PROSSIMI INCONTRI DEL #FUOCOINVISIBILE tour
Il libro continua andare benissimo (ancora una volta grazie!), ecco le prossime date in cui sarà possibile incontrarci, la maggior parte delle quali in Puglia.
24 giugno Salerno @Salerno Letteratura h 19 corte interna convitto Nazionale
28 giugno Gioia del Colle (BA) h.19.30 Municipio
29 Giugno Specchia(Le) h 20. Piazza del popolo
30 Giugno Trepuzzi (Le) h.19 piazza Municipio
5 Luglio Calimera (Le)
6 luglio Il libro possibile - Festival Polignano a Mare (Ba)
10 Luglio Cutrufiano (Le) Municipio
14 Luglio Ex convento degli Agostinani h 20. Lecce
15 Luglio Castello di Tutino, Tricase
27 Luglio RocAntica PDR podcast Live con Rocco Tanica, h21 Roca (LE)
28 Luglio RocAntica PDR podcast Live con Mandrake, h21 Roca (LE)
29 luglio reading musicato de Il fuoco invisibile con Gabriele Rampino, h21 Roca (LE)
30 Luglio Locorotondo@Viva Festival, dialogo con Gianumberto Acinelli h 19 Cala Masciola
7 Settembre Mantova h.16 @Festival Letteratura
L’attualità dell’odio
In questi ultimi giorni sono rimasto piuttosto colpito dalla copertura mediatica e dalle reazioni social a due eventi: l’incidente automobilistico che ha visto la morte di un bambino a Roma e la vicenda del sottomarino Titan.
Mi è tornato in mente il capitolo di Odio in cui il protagonista - Marco De Sanctis – apprende della morte di quello che fino a quel momento era stato una sorta di suo arcinemico e decide di andare al funerale. Questo:
“Fu un refresh automatico al sito del “Corriere” a distogliermi dal lavoro. C’era una nuova apertura.
Giovane imprenditore del digitale si schianta in Porsche. Morto assieme alla moglie.
(Nella foto Diego Colombo, 36 anni, co-fondatore di Pascal)
Benché orrendamente accartocciata riconobbi l’auto: era la 911 Targa che avevo guidato anche io; il Mastro gliel’aveva venduta un anno prima, quando si era comprato una Panamera. Elisa, la moglie di Diego, era ritratta nella solita foto rubata da Facebook – la mia sentenza non aveva avuto alcuna funzione educativa. Aveva uno sguardo sorridente e un po’ perso, le guance lievemente rosse, come per una leggera intolleranza all’alcol o all’idea di venire fotografata. Quest’ultima ipotesi era sostenu- ta dal movimento di distrazione dello sguardo, come un inizio di fuga dall’obiettivo. In quella modesta ragazza di provincia nessuno avrebbe potuto intuire la milionaria che era diventata poco prima di trovare una morte orribile. Se ricordavo bene era stata lei, la sera del compleanno del Mastro, a mettere in moto tutto con quella stupida frase su Favino. I miei ricordi a riguardo erano confusi.
Dalla lettura dell’articolo appresi che avevano una figlia di quattro anni.
Ebbi un leggero conato di vomito.
Io e Guido andammo al funerale. La decisione, in fondo, stava a me, e decisi che era giusto così. Sui giornali il particolare del- la Porsche venne ripetuto in maniera ossessiva, il che diede il via a un’esplosione di odio sui social la cui sintesi era sostan- zialmente: gli sta bene che siano morti, brutti ricchi di merda. Qualcuno aveva timidamente fatto notare che i due – la cui colpevolezza fino a un grado di pena capitale si dava quindi comunque per scontata – lasciavano però una bambina pic- cola e innocente. A questa obiezione la risposta più frequente era stata “E ai figli degli altri, quelli che hanno affamato, non ci pensi?”.
Chiamai Federica e le chiesi di provare a parlare con i suoi tanti contatti dentro i grandi giornali: era proprio necessario scrivere Porsche a ogni occasione utile? Non bastava scrivere “incidente automobilistico”? Mi promise che ci avrebbe parlato.
Diego e la sua famiglia vivevano in Brianza, a Imbersago. Con l’auto cercammo di arrivare davanti alla chiesa del paese ma fummo obbligati a tornare indietro: la folla bloccava la strada. Durante la funzione le persone erano stipate ovunque, vidi il Mastro in seconda fila, dietro i parenti più stretti. Era scuro in volto, notai l’assenza della moglie. Il prete, un sessantenne con la barba di due giorni, disse che era davvero difficile capire perché Dio avesse scelto di chiamare a sé così presto Diego ed Elisa.
La chiesa era piena di giovani uomini e giovani donne: amici e dipendenti di Diego, amiche di Elisa, famigliari di ogni ordine e grado. Mancava l’ossigeno: una vecchia con una retina sui capelli svenne e fu portata fuori a braccia. Il prete disse che bi- sognava comunque avere fede, poiché Dio aveva un piano, anche se in quel momento sembrava difficile capire quale fosse.
Pensai: “Almeno non li ha chiamati pecorelle” e bestemmiai mentalmente.
Il prete continuò dicendo che la comunità si sarebbe dovuta stringere attorno alla piccola Matilde. La bambina era in com- pagnia di alcune sue compagne di asilo, nell’angolo vicino al pulpito, a lato delle due bare di legno di noce. Il prete si girò verso di lei e le disse che i suoi genitori erano andati in cielo e avrebbero vegliato su di lei da là sopra.
La bambina alzò gli occhi dalle bare, guardò quell’uomo negli occhi e gli chiese senza risentimento: «Sì, ma non potevano rimanere qui con me?».
La folla fu scossa da una sorta di singulto trattenuto a forza. A metà sala una quarantenne bionda e magrissima lanciò un gemito simile a quello di un animale di piccola taglia colpito a morte.
Mi accorsi che stavo piangendo lacrime calde.
Uscii e vomitai dietro un cespuglio ai bordi del sagrato. Sentii il telefono vibrare, era un messaggio di Federica.
FEDE
Ho provato a parlarci ma mi rispondono tutti che gli incidenti con auto di lusso o SUV fanno molti più contatti.
RUSSIA
In questo momento è in corso un tentativo di colpo di Stato ad opera dei mercenari del gruppo Wagner comandati da Yevgeny Prigozhin.
Di Prigozhin e della Wagner aveva parlato lungamente anche Francesco Dalmazio Casini in questa puntata di PDR:
Su Youtube tutte le puntate sono indicizzate e trovate l’elenco degli argomenti nel primo commento, nella descrizione del video e nella barra rossa di scorrimento.
Qui una clip sull’argomento:
AUDIO della puntata:
BIODINAMICO, OGM E OMEOPATIA
Se non l’avete ancora vista vi consiglio l’ultima puntata in cui Roberto Defez, primo ricercatore del CNR di Napoli, smonta una serie di bufale sugli OGM (tra cui quella dei semi sterili) e spiega le assurdità del biodinamico e dell’omeopatia. Una puntata imperdibile e molto, molto, utile.
Su Youtube tutte le puntate sono indicizzate e trovate l’elenco degli argomenti nel primo commento, nella descrizione del video e nella barra rossa di scorrimento.
Clip sull’argomento:
AUDIO della puntata:
Tenete d’occhio i canali del podcast e se non lo avete ancora fatto vi consiglio di incominciare a seguirli per ricevere le notifiche sull’uscita delle puntate che abbiamo registrato negli ultimi giorni.
CONFINI
Sono uscite diverse puntate Confini, il programma che conduco su Radio Rai Alto Adige, vi consiglio in particolare quella con Menotti, sceneggiatore (Jeeg Robot, fra i tanti suoi film)
QUALCHE MESE DELLA MIA VITA di Michel Houellebecq
Con l’eccezione di “Annientare” si può dire che nella sua carriera Michel Houellebecq abbia scritto tante versioni dello stesso romanzo, tutte ispirate a “L’estensione del dominio della lotta”, la sua prima opera di prosa e, per compattezza e forza espressiva, il suo libro migliore. Nei romanzi di Houellebecq, il protagonista è sempre un uomo profondamente estraniato dalla società, ricopre un incarico dignitoso ma piuttosto anonimo, ha legami famigliari molto tenuti quando non proprio inesistenti e affronta a turno uno dei grandi temi della sua epoca: la clonazione, il turismo sessuale, le sette, l’arte contemporanea, la comicità, lo scontro filosofico e pratico fra culture credenti come l’Islam e l’Occidente materialista e ateo, la depressione. Nel deserto valoriale dell’Occidente la salvezza è offerta all’homo houelbecquensis invariabilmente da una donna. All’interno di questo schema ripetuto e tra le trame della distorsione romanzesca si intravvede – o noi lettori pensiamo d’intravvedere – Michel Houellebecq in persona, ovvero immaginiamo che l’uomo solo e disperato di cui si parla nel romanzo sia proprio l’autore, o quanto meno l’attualizzazione di quello che è stato il giovane Houellebecq, tecnico informatico, prima dei libri e della fama continentale.
È naturale quindi che il nuovo libro “Qualche mese della mia vita” (Nave di Teseo) – in cui Houellebecq fornisce la sua versione riguardo le note vicende di un film porno girato a suo dire contro il suo volere – fosse molto atteso; e questo non solo per l’inevitabile curiosità ma anche perché si tratta di un’occasione unica per vederlo alle prese con l’autobiografia, per la prima volta, cioè, privo dello schermo del romanzesco.
Houellebecq si cimenta con quella che è la specialità dell’altro grande scrittore francese contemporaneo: Emmanuel Carrère. Messa in questi termini si incomincia a intuire la difficoltà del compito, le differenze che intercorrono fra i due scrittori sono infatti enormi: totalmente dentro il suo tempo e la sua classe sociale Carrère – uno scrittore aderente in pieno alla sua epoca anche quando questa aderenza si risolve in un dramma nichilistico (Yoga) –; esterno, dolente, sempre turbato dall’immoralità del mondo contemporaneo e con una fortissima e insuperabile tendenza all’analisi filosofica e sociologica, Houellebecq. I due arrivano anche da punti di partenza che difficilmente potrebbero essere più diversi: compiaciuto esponente della borghesia colta Carrère, ex marginale afflitto dalla morte di Dio, Houellebecq. Nelle ultime opere sembrano comunque avvicinarsi tematicamente, entrambi vanno puntando il loro obiettivo sul senso della vita, più che sulle vite degli altri (Carrère) o sui macro fenomeni sociali (Houellebecq).
Fatte queste premesse “Qualche mese della mia vita” è un libro scritto in fretta – in soli tre mesi – e in un oggettivo stato di pressione mediatica e psicologica, e benché conosca anche diversi momenti pregevoli, sembra risentire di entrambe le cose. Soprattutto è segnato dalla difficoltà che una mente astratta e filosofica come quella di Houellebecq incontra nel raccontare uno spaccato molto specifico di realtà. All’inizio del periodo narrato, Houellebecq è al centro di una serie di polemiche sui media francesi per alcune dichiarazione sull’Islam, poi ritrattate. In quei giorni accetta la proposta di un regista olandese di incontrare – assieme alla moglie – una fan in un hotel di Parigi. I coniugi Houellebecq indossano delle maschere e l’incontro viene filmato. Qualche tempo dopo i due raggiungono Amsterdam per un nuovo incontro erotico con un’altra presunta fan dello scrittore. Le cose però non vanno come previsto e in quell’occasione non ci sarà nessun rapporto sessuale. Houellebecq e il regista litigano non prima però che il francese abbia firmato un contratto che autorizza l’utilizzo sia delle immagini girate quel giorno sia di quelle registrate qualche tempo prima a Parigi. La firma sul contratto è una leggerezza che Houellebecq attribuisce all’aver mischiato vino e ansiolotici.
Si dirà: va bene, ma perché un regista in camera? Houellebecq procede nel libro a una breve storia del suo rapporto con la pornografia, di cui salva sostanzialmente solo quella amatoriale, da qui il desiderio di essere a sua volta protagonista di un video assieme alla moglie e almeno un’altra donna. Houellebecq si dilunga anche sulla superiorità dei rapporti a tre, sia da un punto di vista emotivo che tecnico: “Qualunque sia la posizione adottata, la donna può (e quindi deve) accarezzare le palle dell’uomo durante la penetrazione, ma le è impossibile leccarle, per cui è indispensabile l’intervento di un’altra donna – la superiorità incontestabile della lingua sulle dita potendosi ormai dare per acquisita. Anche nel caso della semplice fellatio, è impossibile, per una donna da sola, leccare contemporaneamente le palle e il glande. Quando le due donne si baciano appassionatamente a pochi centimetri dal suo cazzo, l’uomo è immerso in un’attesa deliziosa, e quando le due lingue si incrociano e si intrecciano in una lenta esplorazione del suo glande, si innalza fino alle vette della beatitudine terrena.”
Tutto piuttosto convincente, così come è indubbio che per filmare per bene un rapporto sessuale serva almeno una persona in più che si occupi di manovrare la telecamera. Il punto della vicenda è però un altro: perché affidarsi a Stefan Ruitenbeek, un artista – o comunque una persona che si considera un artista– a capo di un collettivo (KIRAC) che produce dei video autenticamente orribili, il più noto dei quali si chiama “Honeypot” e ritrae l’umiliazione sessuale di un giovane filosofo olandese conservatore? Ruitenbeek voleva chiaramente ricavare dagli incontri sessuali di Houellebecq uno dei suoi inspiegabili prodotti e non aveva nascosto né la sua identità e né il suo lavoro, inviando allo scrittore i link a cui poteva vederli, link che però non sono stati aperti.
La questione non è esplorata in “Qualche mese della mia vita” ma è chiaro che un autore della fama di Houellebecq di mail contenenti allegati artistici di qualche tipo ne deve ricevere di continuo e che non li apra è piuttosto comprensibile, meno comprensibile è che non apra neppure quelli di una persona che si è offerta di fargli da lenone.
Quando, a battaglia legale ormai in corso, Houellebecq vedrà finalmente i video, dirà: “Sul piano intellettuale, da Honeypot non si può ricavare altro che una cupa meditazione sull’insondabile, suicida stupidità di cui può dar prova il maschio di qualsiasi specie animale – compresa, ovviamente, quella umana – quando si tratta di disseminare il suo sperma.” Curiosamente scrive queste parole a proposito della vittima precedente di Kirac e non di sé stesso, che forse non è stato stupido in maniera suicida ma un po’ careless probabilmente sì.
Houellebecq riconosce l’esistenza di rischi di questo tipo solo quando, riflettendo sulla sua amicizia con Gerard Depardieu, analizza cosa significhi essere famosi oggi: sostanzialmente girare con un grande mirino sopra la testa. Come direbbe Dave Chapelle, viviamo dentro la “Celebrity hunting season”, la stagione di caccia alle celebrità.
In tutta questa vicenda rimane il fatto che Houellebecq avrebbe potuto anche agire con maggior sprezzatura o, come dice lui stesso, con un’attitudine “punk” e limitarsi ad un’alzata di spalle. A favore della sua opposizione legale alla diffusione dei filmati ci sono però alcuni fatti: 1) l’homo houlbecquensis protagonista dei romanzi ha sempre preso molto, molto, sul serio i media; 2) lo scrittore si è sentito violato nell’intimo; 3) l’idea che, come gli suggerirà Bernard Levy, la letteratura vinca su tutto. Una frase piuttosto roboante ma non per questo necessariamente falsa, anzi, nelle pagine migliori di “Qualche mese della mia vita” diventa vera.
E le pagine migliori sono le ultime, quelle in cui finalmente, dopo estese ricostruzioni più o meno convincenti e tantissimo astio, Houellebecq si dedica ai suoi aguzzini. Benché poco prima abbia dichiarato il suo abbandono delle ideologie a favore delle persone – nella vita come in letteratura – Houellebecq qui torna a fare l’Houellebecq che conosciamo da sempre. Sono pagine in cui si muove sul confine della filosofia e della sociologia, maneggia concetti astratti, ritrae il mondo attraverso l’uso di grandi categorie e connette così il particolare con l’universale.
Ed è così che arriva ad un aspetto che sarebbe stato interessante esplorare più a fondo: il collettivo KIRAC è l’ultima, misera e irrilevante, espressione di una grande tendenza Occidentale alla negazione della sessualità. È questo il punto centrale del libro, rimane però appena accennato, anche perché Houellebecq non racconta mai KIRAC e i suoi componenti come degli esseri umani (basti pensare ai nomi che sceglie per loro: Scarafaggio, Troia, Vipera, Oca). Eppure è sufficiente guardare qualche video su YouTube di questi oscuri personaggi, così palesemente avvolti in un’aura di malignità e così ignorati dal mondo nonostante cerchino di succhiare fama da personaggi noti, per capire che avremmo voluto sapere qualcosa di più sul loro conto.
Illuminandoli si sarebbe illuminato meglio anche Houellebecq che invece nelle pagine di “Qualche mese della mia vita” rimane a lungo dominato dalla rabbia e dallo spaesamento, forse ancora troppo vicino al fatto per poterlo raccontare con la giusta distanza.
L’occasione in un certo senso è persa e Houellebecq si conferma diverso da Carrère, senza per questo esserne inferiore. L’uno vive nel mondo, si fa assorbire dal suo flusso e nel farlo è capace soprattutto di guardare in faccia l’altro e di cogliere il dettaglio – meno lo schema d’insieme–; l’altro sorvola il bosco come un’aquila, possiede una preziosa visione d’insieme ma quando infine atterra rischia con sorprendente facilità di rimanere vittima degli scarafaggi.