Il primo libro di Vargas Llosa lo lessi senza conoscere l’autore, girava per casa e incominciai a sfogliarlo. Finii di leggerlo in pochi giorni e mi fece una profonda impressione. Era “La festa del caprone”, un romanzo ambientato a Santo Domingo che racconta le vicende di Rafael Leónidas Trujillo, dittatore di destra detto El Chivo, il caprone, per via dell’abitudine di possedere le donne e le figlie dei suoi dignitari, che spesso acconsentivano con un certo orgoglio. Non è uno dei romanzi più conosciuti di Vargas Llosa ma è ottimamente orchestrato ed è un grande inno alla libertà personale degli esseri umani.
Dopo una fascinazione giovanile per Sartre e la rivoluzione cubana, Vargas Llosa ripudiò il comunismo e diventò liberale. Nella sua frequentazione del regime castrista Vargas Llosa aveva assistito alla costituzione delle Umap, le “Unità di aiuto alla produzione”, eufemismo che nascondeva i campi di concentramento per controrivoluzionari, omosessuali e delinquenti comuni. Durante un viaggio in Unione Sovietica, poco tempo dopo, si rese conto che se fosse nato lì, invece che essere ricevuto con grandi onori come scrittore straniero, sarebbe stato in carcere come dissidente. Esperienze che lo portano a rivalutare radicalmente le sue posizioni politiche: niente vaccina meglio contro l’utopia quanto vederla in atto.
Vargas Llosa prese la cosa molto sul serio, tanto da rifiutare anche il racconto stereotipico del Sud America che faceva nei suoi libri il suo caro amico Gabriel Garcia Marquez. Come racconta bene Mattia Feltri su La Stampa, il realismo magico di Marquez piaceva agli europei in cerca di facili esotismi, affascinati dalla figura del buon selvaggio.
Forse nessun continente quanto l’America Latina è stato oggetto di profonda incomprensione da parte degli intellettuali europei, il più delle volte pronti a sostenere dittature o governi illiberali (Cuba, Venezuela, per citarne soltanto due) in nome di ideologie di cui però non si sobbarcavano mai i costi, rimanendo a vivere a Parigi, Madrid o Roma, luoghi dove le loro libertà - compresa quella di espressione – erano garantite da sistemi politici completamente diversi.
Tutto questo a Vargas Llosa non piaceva molto, anzi non piaceva per niente. All’attività di acclamato romanziere affiancò quindi negli anni un certo attivismo politico e soprattutto uno studio profondo e serio dell’alternativa al comunismo e alle dittature di destra. Qualche anno fa pubblicò un libro che era una summa di questa vita di ricerca, un libro agile ma densissimo, la cui lettura consiglio a chiunque:
È una biografia intellettuale in cui il percorso dell’autore si alterna all’esposizione del pensiero dei principali autori della tradizione liberale, da Adam Smith al grande Isaiah Berlin, passando per Von Hayek, Popper e Ortega Y Gasset e altri ancora.
È un libro agile (250 pagine), ben scritto, piacevole alla lettura e fornisce una summa utilissima per capire di cosa parliamo quando parliamo di liberalismo, una teoria filosofica che si oppone all’idea di uomo come essere tribale, rifiuta cioè la convinzione che il gruppo debba sempre avere la meglio sull’esercizio della ragione individuale.
È quindi un testo particolarmente prezioso in un Paese come il nostro, da sempre schiacciato tra tre chiese: fascismo, comunismo e la Chiesa vera e propria. Un Paese con un apparato burocratico sterminato, una presenza statale tentacolare nell’economia (con conseguenti lottizzazioni politiche e mancanza di meritocrazia) e un debito pubblico enorme, dove però nei talk show televisivi si parla del famigerato neo-liberismo come la causa di tutti i mali. Una situazione piuttosto orwelliana.
Ad esclusione di alcune facoltà universitarie (filosofia, scienze politiche, economia) nel nostro Paese infatti non si studia cosa sia esattamente il pensiero liberale, anche se ad esso dobbiamo le nostre libertà civili, economiche e intellettuali, o quanto meno quello che ne rimane. “Il richiamo della tribù” è una comoda summa di questa corrente di pensiero così centrale nella pratica e così ignorata nella teoria, almeno in Italia.
Potrei sbagliarmi ma per questi motivi temo che “Il richiamo della tribù” non sarà mai citato negli articoli che sui giornali generalisti danno notizia della morte di Vargas Llosa. Ad ogni modo ora sapete che esiste.
Buona lettura.
D.